Il PRI e la svolta di Giorgio La Malfa. La mia breve permanenza nel Consiglio Nazionale.

 
Per comprendere le perplessità che iniziai a nutrire nei confronti della gestione del Partito, a livello nazionale alla fine degli anni '90, devo necessariamente ricostruire gli avvenimenti che erano accaduti partendo dalla scomparsa di Ugo La Malfa, avvenuta il 26 marzo 1979, in poi.

A settembre del 1979 il PRI elesse Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini Segretario Nazionale. La Segreteria Spadolini rimase in carica sino al settembre del 1987 raccogliendo ottimi consensi e raggiungendo il massimo storico di voti alle elezioni politiche del 1983 con la percentuale del 5,1 e 29 seggi alla Camera dei Deputati.

Nel XXXV Congresso, che si tenne a Milano, Spadolini, nel suo intervento, lanciò un'ipotesi da concretizzarsi nel tempo: Il superamento del frazionamento dei partiti laici in un contenitore che definì "I Democratici".

La proposta creò immediatamente una discussione tra i delegati e benché, con il senno di poi, fosse lungimirante non fu compresa se non addirittura etichettata come una "liquidazione" del glorioso Partito Repubblicano. La proposta rimase tale e non ebbe alcun seguito.

Spadolini rimase alla guida del Partito sino al XXXVI Congresso, convocato a Firenze nell'aprile del 1987. Nel frattempo il senatore venne eletto Presidente del Senato.

Al XXXVII Congresso, convocato a  Rimini dall' 11 al 15 maggio 1989, sollecitato dall'amico Sergio Savoldi, mi presentai candidato al Consiglio Nazionale nella lista di "Sinistra Mazziniana" e venni eletto. Comunque il mio contributo fu di breve durata, Nel 1990 diedi le dimissioni dal Partito e, conseguentemente, anche da questa "carica". Male motivazioni le racconterò in altra parte.

A settembre dello stesso anno, il Consiglio Nazionale eleggeva il successore di Spadolini, Giorgio La Malfa".

Purtroppo non sempre i figli si portano in dote le capacità e l'intelligenza dei padri, Giorgio la Malfa non fece eccezione e iniziò a dirigere il Partito come "cosa propria". Le critiche erano considerate "dissidenza" e irrise.  Ne diede ampia dimostrazione qualche anno dopo allorquando, durante il periodo di mani pulite, a causa di una sua condanna per finanziamento illecito del partito (per la somma di 100 milioni di lire), si autosospese, affidando la reggenza a Giorgio Bogi.

Nel 1994 il PRI, guidato da Giorgio Bogi, con il consenso della stragrande maggioranza del Consiglio Nazionale, si collocò al centro, nella coalizione del Patto per l'Italia di Mariotto Segni e Mino Martinazzoli. La formazione aveva il nome di "Alleanza Democratica" promossa proprio nel 1992 dallo stesso Giorgio la Malfa.

Nella quota maggioritaria la scelta di candidare nomi nuovi ed estranei alle vicende giudiziarie (Denis Verdini, Giannantonio Mingozzi, Piero Gallina, Mauro Fantini) non fu felice.
Nella quota proporzionale l'unica eletta fu Carla Mazzuca Poggiolini.

Al suo rientro in politica, Giorgio la Malfa espulse Bogi e mise all'indice l'intera dirigenza repubblicana mettendo nelle condizioni Visentini, Gualtieri e altri Padri storici del PRI di andarsene.

In una dichiarazione pubblica dell'epoca, Giorgio la Malfa arrivò al massimo della sua insensibilità politica e umana affermando:
" Bruno Visentini come finirà la sua vita ? Chi andrà ai suoi funerali ? E quando il feretro del senatore Gualtieri passerà per le strade di Cesena, gli auguro fra venti anni, ma chi lo accompagnerà ? Dove saranno le bandiere abbrunate delle sezioni repubblicane ? ". La "sferzata" di Giorgio La Malfa ai due "illustri" uomini fuggiti dal PRI arriva poco dopo mezzogiorno, più o meno a mèta della sua relazione al Consiglio Nazionale del partito dell'Edera, il primo dopo quello di fine gennaio dove furono sancite le alleanze per le elezioni, ma le "rotture" all'interno del partito. Gli interrogativi del Segretario sulla "fine" di due illustri nomi colpiscono i consiglieri nazionali ed uno dalla seconda fila ne fa "l'autentica interpretazione": "intende dire fine politica" spiega. Ma Giorgio La Malfa va avanti. Prende a prestito dal lessico di Achille Occhetto la parola "carovana" e a tutti i dirigenti del partito che sono andati via in queste ultime settimane dice: "Se qualcuno si aspetta che io polemizzi con quelli che sono andati via, si sbaglia. Io non faccio nessuna polemica. Mi dispiace molto per loro. Sono come persone che in una carovana si perdono nel deserto. E dove si abbevereranno ? In quale sezione andranno a parlare ? Dove troveranno degli amici ? Cosa faranno ? Cosa hanno in mente politicamente ? Hanno un progetto politico ? Quale è ? Di costruire un Partito Repubblicano ? Ce l'avevano…".

Quest'ultima vicenda, comunque accaduta dopo la presentazione delle mie dimissioni dal PRI, avvalorò la mia decisione e confermava le motivazioni che mi avevano condotto al sofferto passo.

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