8° Congresso Provinciale - Cambio di guardia alla Segreteria



Il 25 e 26 gennaio 1986 venne convocato l'8° Congresso Provinciale dei Repubblicani Bergamaschi presso il Cristallo Palace di Bergamo. Fu un Congresso "celebrativo" per i successi ottenuti nelle elezioni amministrative locali della primavera dell'anno precedente.

Partecipò il senatore Spadolini, a quel tempo Ministro della Difesa del Governo Craxi (Nota: pentapartito dal 4 agosto 1983 al 1° agosto 1986) e, naturalmente la stampa era presente per ascoltare dalla sua voce un eventuale commento sulla "vicenda Sigonella" accaduta nell'ottobre del 1985.


Nel mio intervento di apertura del Congresso, nella relazione, trattai l'argomento rivolgendo critiche alla Direzione Nazionale, ai membri repubblicani del Governo e, naturalmente al Ministro della Difesa, per come era stata condotta politicamente la vicenda.


In buona sostanza affermai che nel rapporto che avrebbe dovuto esistere non solo tra alleati di Governo ma essenzialmente tra Presidente del Consiglio, che si era attribuito decisioni importanti di competenza della Difesa, e il Ministro che era titolare del dicastero, tenuto all'oscuro delle decisioni nei momenti cruciali, il PRI sarebbe dovuto intervenire immediatamente ed energicamente invitando lo stesso Ministro alle dimissioni. Ritenevo che con questo atto unilaterale e personale, il Presidente del Consiglio avesse mancato ad uno dei doveri che informavano e giustificavano l'esistenza di un'alleanza tra PRI e PSI basata sulla correttezza e sulla reciproca fiducia.

 
Ovviamente tali accuse non furono "digerite" benevolmente da Spadolini e nel suo intervento a chiusura della prima giornata dei lavori, rispose richiamando "l'alto senso di responsabilità" che i repubblicani, e lui stesso, avevano dimostrato non arrivando ad atti estremi che avrebbero potuto significare la fine dell'alleanza con il Partito Socialista e del Governo Craxi.  (Nota: Il primo Governo Craxi cadde, comunque, pochi mesi dopo su una mozione di fiducia che fu bocciata dal Parlamento).


Alla sera, mentre accompagnavo il senatore a cena, posandomi una mano sulla spalla disse: «Ecco, ora andiamo a cena con il mio segretario ribelle!», e la questione finì lì.


Il Congresso ebbe un notevole successo e ampiamente commentato dalla stampa locale.
Al termine, il giorno successivo, nella replica annunziai la ferma volontà di non ripresentarmi alla carica di Segretario Provinciale, poiché ritenevo che il lavoro di Consigliere Comunale e di Capogruppo non mi avrebbe permesso di continuare con lo stesso impegno la conduzione politica di un partito ormai maggiorenne, con pressanti problemi di presenza e di attività politica sul territorio.


Come ho scritto in apertura di questi ricordi: "Il mio carattere m'impediva di tenere il piede in due scarpe".


Alla Segreteria Provinciale venne eletto un giovane promettente che aveva dimostrato nella Federazione Giovanile tutte le sue capacità: Tino Montagnosi.


---------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Per coloro che non ricordassero il dirottamento dell' Achille Lauro e la crisi di Sigonella, riassumo in breve:

Lunedì 7 ottobre 1985 la nave da crociera italiana Achille Lauro, alle ore 13:07, mentre si apprestava a lasciare le acque egiziane per approdare in Israele, venne sequestrata da quattro terroristi palestinesi armati, che si erano introdotti a bordo con passaporti falsi.

Ricevuta la notizia, il Ministro degli affari esteri Giulio Andreotti e il Ministro della difesa Giovanni Spadolini si attivarono per una trattativa che, sin dall'inizio, apparve particolarmente complessa ed assai rischiosa, anche alla luce delle diverse opinioni politiche all'interno del governo italiano. Spadolini convocò tutti i vertici delle forze armate e dell'intelligence. Andreotti, in serata, convocò alla Farnesina l'unità di crisi, attivando subito i suoi canali diplomatici, grazie alla storica amicizia con il mondo arabo moderato di cui appoggiava la politica.

I terroristi chiesero quindi un negoziato mediato dalla Croce Rossa Internazionale con gli ambasciatori d'Italia, degli Usa, del Regno Unito e della Germania dell'Ovest. Sulla nave intanto la situazione degenerò: i terroristi minacciarono ripetutamente di cominciare ad uccidere ogni 3 minuti tutti i passeggeri, iniziando dai cittadini americani. Leon Klinghoffer, cittadino americano ebreo e paraplegico, venne ucciso e gettato in mare. Tuttavia i sequestratori non proseguirono nell'attuare la loro minaccia, se non simulandola con diversi spari che intimorirono equipaggio e passeggeri. La Achille Lauro, avuto l'ordine di allontanarsi dalla costa siriana, ritornò a Port Said su richiesta di Abbas il quale, con l'autorizzazione del governo italiano, riuscì a far arrendere i terroristi dopo aver promesso loro una via di fuga diplomatica verso un altro paese arabo.

Questa soluzione venne appoggiata dall'OLP e gestita dal governo italiano a condizione che a bordo non fossero stati commessi reati. Il comandante della nave, De Rosa confermò che tutti i passeggeri erano incolumi. L' Achille Lauro fa rotta per l'Egitto ed attracca a Port Said: alle ore 15.30 del giovedì, la nave è libera, anche se i passeggeri ancora non possono scendere. Ma solo più avanti nella serata si poterono acquisire conferme indipendenti del crudele delitto: l'ambasciatore Migliuolo era salito a bordo e in presenza di funzionari egiziani cominciò ad ascoltare dal comandante quello che era accaduto. Craxi apprese direttamente della circostanza parlando con il comandante De Rosa in una conversazione telefonica, "qualche minuto prima della conferenza stampa. Craxi ci disse di avvertire subito il nostro ambasciatore Migliuolo incaricandolo di preparare il terreno per una nostra richiesta di estradizione per i quattro dirottatori, poiché il salvacondotto era condizionato all'assenza di ogni fatto di sangue avvenuto sulla nave.

De Rosa, certamente per quieto vivere, aveva purtroppo taciuto sull'assassinio di Klinghofer nelle precedenti telefonate col ministero degli Esteri e coi Servizi. Prima ancora di recarsi alla conferenza stampa, Craxi ci dette inoltre istruzioni per informare la Farnesina della nostra conversazione con Migliuolo e chiedere di avviare con la massima urgenza le procedure, d'intesa col ministero della Giustizia, per l'estradizione dei quattro dirottatori, richiesta che egli avrebbe appoggiato direttamente presso il presidente Mubarak"

Il governo egiziano decise di effettuare immediatamente un trasferimento in Tunisia, dove all'epoca l'OLP aveva sede. In realtà, nonostante le assicurazioni pubblicamente offerte nella mattinata del giovedì 10 dal capo di stato egiziano Hosni Mubarak - che dichiara che i terroristi hanno già lasciato l'Egitto - la Casa Bianca dichiara che le affermazioni del presidente egiziano sono in contraddizione con quelle che ha ricevuto dalle proprie fonti. Poco più tardi, un funzionario che si trova sull'aereo di Reagan, in viaggio verso Chicago, informa che i quattro si trovano ancora in un aeroporto ad Al Masa.

In effetti, soltanto nel pomeriggio del giovedì un aereo civile, un Boeing 737 delle linee aeree egiziane fu requisito da parte del governo del Cairo e diventò ufficialmente un mezzo di trasporto di Stato; nella sera, con i quattro dirottatori della motonave e i rappresentanti dell'OLP (ovvero Abu Abbas e Hani el Hassan)[17] salirono a bordo anche un ambasciatore egiziano ed alcuni agenti del servizio di sicurezza egiziano[18]. Il volo decollò alle 23:15 (ora del Cairo).

Nel frattempo il Consiglio di Sicurezza Nazionale ed il Dipartimento di Stato USA riuscirono a limitare le opzioni di atterraggio dell'aereo egiziano, chiedendo ai governi di Tunisia, Grecia e Libano di non autorizzare l'atterraggio nei loro aeroporti. Quando il volo EgyptAir stava ormai avvicinandosi alla destinazione, Tunisi comunicò il rifiuto all'autorizzazione di atterraggio. Dal Boeing venne quindi chiesta autorizzazione ad Atene, da dove ricevettero altro rifiuto.

I militari statunitensi entrarono quindi in azione, contattando via radio il Boeing ed eseguendo la procedura di intercettazione, intimando con movimenti d'ala di seguirli: senza previo avvertimento, i caccia americani dirottarono l'aereo egiziano sulla base Naval Air Station Sigonella, in Sicilia.

Intorno alle 22.30 il colonnello Ercolano Annichiarico, che la mattina dopo avrebbe dovuto lasciare il comando della base, era stato avvertito dell'arrivo di una formazione americana. La richiesta, negata, veniva dai Tomcat, a 240 km dallo scalo siciliano, ed atteneva ai soli 4 F-14 ed all'aereo egiziano, nessuna menzione facendosi dei due C-141, né autorizzati né previsti.

Il presidente del consiglio italiano, contrariato da questa improvvisazione, intendeva consentire l'atterraggio, ma solo a condizione di gestirne le conseguenze autonomamente. In segreto ordinò ai vertici militari che i terroristi e i mediatori fossero messi sotto il controllo delle autorità italiane. L'ammiraglio Fulvio Martini, capo del servizio segreto militare (SISMI), alle 23:57 ricevette una telefonata dal presidente Craxi e su suo ordine prima diede l'ordine di autorizzare l'atterraggio dei 5 velivoli a loro noti, dalla sala controllo dello stato maggiore dell'aeronautica a Roma; poi si recò immediatamente alla base di Sigonella.

L'autorizzazione del Comando italiano all'atterraggio del volo egiziano arrivò solo quando il velivolo aveva già dichiarato emergenza combustibile e appariva evidente che non sarebbe stato in grado materialmente di procedere verso l'aeroporto di Catania Fontanarossa. L'atterraggio avvenne alle 0:15. Il controllore di torre e il suo assistente (all'epoca il controllo del traffico aereo in Italia era gestito interamente dall'Aeronautica Militare), senza ricevere ordini in merito, istruirono di loro iniziativa l'aereo egiziano a parcheggiare sul piazzale lato est (zona italiana).

Immediatamente confluirono sulla pista 30 avieri VAM e 20 Carabinieri, tutti in forza alla base aerea di Sigonella, circondando l'aereo, come da ordini ricevuti. Pochi minuti dopo atterrarono – a luci spente e senza permesso della torre di controllo – anche due Lockheed C-141 Starlifter americani dei Navy SEAL al comando del generale di brigata aerea Carl W. Stiner, si diressero verso il Boeing egiziano e fu subito chiaro l'intento di prelevare dirottatori e Abu Abbas, secondo gli ordini ricevuti da Washington; le luci della pista furono subito spente. La tensione salì quando i 50 militari dei SEAL, scesi dai C-141 armi in pugno, circondarono gli avieri italiani e i carabinieri, ma a loro volta furono circondati con le armi puntate da altri carabinieri, che erano nel frattempo arrivati dalle vicine caserme di Catania e Siracusa. Il capitano Marzo ricevette dalla torre di controllo l'ordine di posteggiare un'autocisterna, una gru e i mezzi anti incendio chiusi a chiave e piantonati dinanzi ai velivoli onde impedirgli definitivamente di muoversi dalla base. Ognuno si attestò sulle sue posizioni: in quel momento v'erano tre cerchi concentrici attorno all'aereo. Seguirono minuti di altissima tensione.

Alle 5:30, quando il generale dei carabinieri Bisogniero fece intervenire a Sigonella (su ordine di Craxi) i blindati dell'Arma ed altri rinforzi, il reparto d'attacco americano ricevette l'ordine di rientrare. A Reagan, dinanzi alla posizione italiana, non era rimasto che cedere e ritirare gli uomini da Sigonella, confidando nella volontaria attuazione delle promesse che riteneva di aver ottenuto nel corso della telefonata con Craxi.

Il consigliere diplomatico di Craxi Badini colloca in queste ore il suo colloquio "con Abu Abbas sull'aereo dell'Egyptair in sosta a Sigonella"[42]: egli, quindi, riferì a Roma, in particolare, che Abu Abbas aveva confermato nel citato colloquio che "l'obiettivo dei suoi uomini era di sbarcare ad Ashdod per compiere un attentato, mentre dell'uccisione di Klinghofer egli aveva dichiarato con fermezza di averlo appreso solo allo sbarco dei suoi quattro miliziani, ribadendo che essa era del tutto estraneo agli obiettivi del Flp. Il comandante dell'aereo e il diplomatico egiziano Zeid Imad Hamed risalirono a bordo del Boeing, che nella serata decollò alla volta di Roma.

Il Boeing atterra a Ciampino poco prima della mezzanotte tra venerdì 11 e sabato 12 ottobre 1985. Un aereo non identificato - che lo aveva seguito a luci spente, rifiutando di identificarsi presso le torri di controllo continentali italiane durante il tragitto, che aveva compiuto affiancandosi al Boeing egiziano e volando basso appena pochi metri sopra le abitazioni per sfuggire ai radar - chiede l'atterraggio che la torre di controllo gli rifiuta. L'aereo allora dichiara l'emergenza (di carburante), spegne la radio e atterra, va a parcheggiare non lontano dal Boeing. È un North American T-39 Sabreliner statunitense, un jet militare in grado di trasportare fino a sette passeggeri. A bordo vi è un commando dei Navy SEAL e il generale Carl Stiner, all'epoca a capo del United States Special Operations Command, che con i due C-141 aveva dirottato su Sigonella il Boeing.

Alle ore 13 un parere degli esperti del ministero della Giustizia era intanto stato recapitato a Palazzo Chigi. È firmato dal Ministro di grazia e giustizia Mino Martinazzoli e afferma: “Il ministero ritiene che la richiesta di arresto provvisorio non contenga sostanziali elementi secondo i criteri che la legge italiana fissa per l'acquisizione delle prove e il giudizio sulla loro evidenza”.

Craxi telefona al ministro Spadolini e lo informa della decisione di Martinazzoli; ne riceve la richiesta che ogni decisione sia subordinata a una decisione collegiale del gabinetto, richiesta che non sarà esaudita. Mentre l'ambasciatore USA Rabb fa pervenire a Palazzo Chigi il supplemento di documentazione già annunciato (un elenco, di fonte israeliana, di attentati terroristici nei quali si sospetta che Abbas abbia avuto un ruolo) ed un messaggio di Reagan che chiede a Craxi di esercitare tutta la sua autorità per trattenere il leader palestinese, Spadolini chiama il sottosegretario Amato, preannunciandogli l'intenzione di chiedere una consultazione collegiale del governo sulla decisione relativa ad Abbas.

Alle 14:45 Andreotti e Craxi concordano che, grazie al parere di Martinazzoli, il Boeing può ripartire; Spadolini lamenterà poi che – a differenza degli ambasciatori Rabb e a Rifaat – lui non venne informato della decisione del governo italiano, ma l'ambasciatore Petrignani in seguito smentirà questa versione. Nell'ambito di quella che Hosni definisce il “piano diversivo” attuato dai servizi segreti egiziani vi erano due pericoli da eludere: quello statunitense e quello giudiziario. Alle 16 Rifaat si reca a Palazzo Chigi e qui, dall'ufficio di Amato, telefona al Cairo.

Poco dopo arriva una chiamata di Mubarak che dice di temere una nuova intercettazione da parte degli Stati Uniti e pertanto non autorizza la partenza del Boeing; tutto lascia ritenere che questo scambio di conversazioni fosse finalizzato a lasciar credere ad eventuali intercettatori che gli obiettivi dell'interesse americano (cioè i due dirigenti OLP, tra cui Abu Abbas) fossero insieme al gruppo di agenti egiziani dell'Accademia d'Egitto. Il piano si spinse fino a coinvolgere nella disinformazione il Ministero della Difesa, che si sospettava “monitorato” dagli americani: alle ore 17 Rifaat chiama, sempre dall'ufficio di Giuliano Amato, il vicecapo di gabinetto di Spadolini, chiedendogli una scorta aerea (eventualmente per un aereo diverso dal Boeing al fine di depistare eventuali intercettatori).

Dopo questi eventi, emersero le profonde lacerazioni politiche all'interno della maggioranza del Pentapartito. Spadolini, filo-americano e filo-israeliano chiede le dimissioni del Governo: i ministri repubblicani il 16 ottobre ritirarono la loro delegazione dal governo, aprendo, di fatto, la crisi. A questo punto è uno scontro tra filo-americani e tra filo-palestinesi (questi ultimi avevano avuto in Craxi e Andreotti i maggiori esponenti), ma la richiesta di mantenere la questione all'interno della sola maggioranza è respinta da Craxi, che il martedì successivo respinge la richiesta di De Mita di una crisi extraparlamentare ed ottiene di andare in Parlamento a raccontare al Paese le sue ragioni nella gestione della vicenda. Nel corso della tesissima seduta della Camera, dopo le sue dichiarazioni di minuziosa ricostruzione della vicenda, Craxi, a sorpresa, ricevette anche l'appoggio del Partito Comunista Italiano, il quale, nonostante fosse all'opposizione, appoggiò e condivise la gestione del caso Sigonella.

Il 6 novembre il governo ottenne la fiducia della Camera dei deputati, dopo il discorso di replica con cui Craxi, lungi dal recedere dalle ragioni sostenute per gestire il caso Sigonella, le "rilanciò" con un controverso paragone tra Arafat e Giuseppe Mazzini, che produsse le proteste in Aula e le critiche dei repubblicani, ma venne applaudito dalla restante parte della maggioranza ed anche dall'opposizione comunista, mentre fu duramente contestato dai missini.

Comunque i Ministri Repubblicani rimasero nel Governo Craxi sino alla sua caduta: il 1° agosto 1986.

Nessun commento:

Posta un commento